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SOGNO (E RISVEGLIO) CINESE

Il nuovo ceto medio vede bruciare i suoi risparmi mentre le borse crollano.
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Di Rebecca Arcesati, 31 luglio 2015.
Lo scorso è stato un mercoledì nero per la borsa di Shanghai, che ha fatto registrare il peggior risultato quotidiano dal 2007, chiudendo a -8,48%. Il governo ha prontamente sospeso le contrattazioni di circa 2000 aziende che avevano raggiunto la perdita limite del 10%.
Il crollo del secondo mercato finanziario più grande al mondo è iniziato a metà giugno, dopo una fase di vertiginosi rialzi. Molti analisti, smentiti dal governo, leggevano i segni di una bolla alimentata dalla schizofrenia finanziaria di un mercato sovraeccitato dalle politiche di Pechino. Il totale distacco dei prezzi delle azioni dall’economia reale e dai profitti delle aziende, che hanno subito un calo dallo scorso anno, non prometteva nulla di buono.
Per circa 12 mesi i listini avevano accumulato valore, arrivando a duplicare la capitalizzazione nel caso della borsa di Shanghai (+150%) e costruendo enormi patrimoni privati da un giorno all’altro, apparentemente ignorati delle autorità di controllo. Poi lo scoppio: dal 12 giugno la borsa ha perso più di un terzo del suo valore, una cifra gigantesca pari a circa 10 volte il PIL della Grecia. Il mercato di Shenzhen, dove listano per lo più imprese hi-tech, ha bruciato il 40% dopo un aumento del 190%. Diverse testate internazionali hanno già definito la crisi finanziaria come il 1929 cinese.
Soltanto in un paese in cui vige la contraddizione dell’economia di mercato socialista è stato possibile un massiccio intervento correttivo da parte dello stato, che ha attuato una serie di misure: divieto per gli investitori che detengono più del 5% del pacchetto di una società di vendere titoli per i sei mesi successivi; acquisizione di miliardi di dollari in azioni da parte delle maggiori società di intermediazione; direttiva alle SOE (state-owned enterprises, aziende di proprietà statale) di bloccare le vendite e acquistare il più possibile per “salvaguardare la stabilità del mercato”.

Subito dopo il maxi intervento Shanghai ha archiviato la miglior seduta dal 2009, con guadagni vicini al 6%. Per fortuna il sistema ha il controllo, verrebbe da dire; eppure la cura palliativa del governo non è servita a placare gli umori degli investitori e la bolla continua a far paura. Gli sforzi di Pechino di inizio luglio rischiano di prolungare oltremisura la correzione di un mercato chiaramente surriscaldato, come riporta Samuel Oakford su ViceNews.
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Le tappe dell’aumento del Shanghai Composite Index dalla fine del 2014 fino alla situazione dopo le prime misure varate dal governo per arginare lo scoppio della bolla finanziaria. Sono evidenziate le fasi principali della politica monetaria. (Fonte: Bloomberg).
Secondo la maggioranza degli esperti, le cause profonde vanno ricercate nella compravendita di titoli ad altissimo rischio e nella speculazione, ma anche nella campagna politica e mediatica del governo per promuovere il mercato finanziario. L’illusione del denaro facile è stata parte integrante di una politica tesa ad incoraggiare gli investimenti in borsa. Si alimentava la fiducia in una crescita perenne del valore dei titoli e nella solidità di un’economia che manifestava segnali di difficoltà, per legittimare ancora una volta le politiche nazionali. Ben presto però, i prezzi dei titoli hanno iniziato a lievitare e la situazione è sfuggita di mano. La politica dei tassi agevolati ha mostrato tutta la sua inadeguatezza poiché, si dovrebbe sapere, è impossibile controllare dall’alto l’andamento delle azioni.
Un esercito di piccoli investitori commerciali della porta accanto, spinti dal Partito a giocare in borsa con la promessa di sicuri e facili guadagni, ha alimentato più di tutti la schizofrenia dei mercati e più di tutti ha perso denaro. Nel solo mese di maggio sono stati aperti più di 14 milioni di nuovi account per il trading. In Cina 90 milioni di persone giocano in borsa, più del numero degli iscritti al Partito Comunista; a differenza dell’Europa o degli USA, l’80% delle contrattazioni sui mercati azionari è mossa da individui, che puntano al guadagno breve e investono spesso in modo disinformato e avventato. Secondo uno studio della China Southwestern University of Finance and Economics, l’80% dei nuovi investitori ha al massimo un diploma liceale. Ristoratori, sarti, negozianti, che con fatica avevano accumulato qualche risparmio.
Tuttavia, il principale veicolo dell’aumento artificiale della Borsa è stato il margin trading - ovvero la pratica di comprare azioni utilizzando denaro preso in prestito - che oggi amplifica le perdite. Secondo la rivista Caixin, le istituzioni finanziarie cinesi sono le principali responsabili, perché hanno concesso un fiume di prestiti, la maggior parte dei quali ai nuovi dilettanti di borsa che non avevano denaro da investire. Le società di intermediazione e le istituzioni nel loro insieme hanno erogato circa 4000 miliardi di yuan. Numerosissimi fondi di private equity e fondi d’investimento industriale stanno entrando nel mercato, e non è raro che gli operatori di Borsa si affidino ai social media per avere indicazioni. Parallelamente l’innovazione sta rendendo il panorama finanziario sempre più volatile e difficile da regolamentare.
Un esempio è il boom delle piattaforme online P2P (peer to peer), attraverso le quali nei primi cinque mesi del 2015 sono stati erogati più di 7 miliardi di yuan. Coloro che investono tramite questi canali sono in genere finanziariamente più deboli, dato che le condizioni sono più rilassate. Inutile dire che si tratta di investimenti ad altissimo rischio, principalmente a causa degli elevati tassi di interesse.
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Un economista intervistato da VICE News spiega come il governo abbia messo in atto una graduale strategia per cercare di veicolare gli investimenti verso un mercato alternativo a quello immobiliare, dove negli ultimi anni è stata alimentata una bolla edilizia non più sostenibile. Infatti, la People’s Bank of China ha continuato a scambiare asset tossici con prestiti nuovi - e insolvibili -con la scusa di stimolare l’economia. A loro volta i prestiti finanziavano quei progetti edilizi improduttivi che hanno generato foreste di palazzoni vuoti, ovvero quegli stessi beni acquisiti dalle banche.
L’obiettivo di Pechino era duplice: da un lato si cercava di promuovere attraverso il mercato dei capitali forme di finanziamento più trasparenti per le aziende private, pesantemente dipendenti dal debito e con difficoltà a trovare fondi nel sistema bancario, privilegio delle SOE. Dall’altro, nell’ambito dell’agognata creazione della società dei consumi, si incoraggiavano i cittadini comuni a comprare le azioni di tali aziende, come accade in altri paesi industrializzati, garantendo loro anche una via per far fruttare i primi risparmi. É proprio il nuovo ceto medio il grande perdente della manovra correttiva del mercato architettata da Pechino, che adesso teme la diffusione del malcontento.
Sono utili a questo punto due considerazioni. Primo, a detta di molti osservatori si assiste ad una questione politica prima ancora che economica, come spesso accade in Cina: il governo prediligerà ancora una volta la strada della pianificazione rispetto alle politiche di mercato, andando verso una riforma finanziaria? Secondo, il Sogno Cinese è andato di pari passo con una febbre di ricchezza che si poteva toccare con mano a Shanghai parlando con la gente prima che la bolla scoppiasse. Intervistate da John Sudworth per la BBC, alcune famiglie di piccoli giocatori di borsa che hanno visto scomparire in un lampo i propri risparmi hanno manifestato ancora una volta la fiducia nell’intervento del governo. Alla base si può rintracciare un fenomeno psicologico e socioculturale fondamentale, perché caratterizza il panorama cinese e plasma attivamente le scelte di politica economica del Partito: la perdurante e passiva fiducia nelle istituzioni più che nel mercato, l’idea che siano sempre le manovre dall’alto a sistemare la situazione. Come gestire oltre questa pesante aspettativa?


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