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E-TAX. DUBBI E COMMENTI
Il commercio in internet, ha sviluppato in Italia circa 16 miliardi di giro d’affari nel 2014, con una previsione di aumento del 15% per il 2015. Si stima che almeno la metà di questa torta sia ad appannaggio delle cosiddette dot.com, le grandi Aziende multinazionali (Amazon, Ebay, Expedia, Vente Priveè) che operano anche nel nostro Paese. Per definizione la rete è democratica ed illimitata e le basi imponili si formano e si spostano agevolmente nel mondo.
I Governi delle principali Nazioni, sempre a corto di incassi, stanno da tempo analizzando il mercato al fine di realizzare una modalità di imposizione che permetta di recuperare le imposte (in primis l’IVA e le Imposte dirette) senza violare le varie norme internazionali sull’imposizione ed il commercio internazionale. A tal fine anche la Commissione Europea e l’Ocse (l’Organizzazione internazionale per la Cooperazione e lo Sviluppo) stanno studiando una soluzione da condividere a livello delle principali economie mondiali, adatta a ridurre gli effetti distorsivi per la concorrenza e le possibilità di elusione di un’imposta che gravi sui proventi di questa attività.
La realizzazione di un sistema impositivo realmente efficace, porterà sicuramente allo scoperto rilevanti settori attualmente pressochè esenti da tassazione (per esempio il B2B ed il B2C in America) comportando inoltre un paragone più stringente tra i sistemi impositivi che vengono applicati tra le sponde dell’Oceano, Usa ed Unione Europea, principali attori di questa rappresentazione. (Invitiamo ad analizzare in materia anche le trattative e le proposte contenute nel futuro TTIP.)
La definizione della base imponibile inoltre, comporterà la definizione corretta delle modalità realizzative del commercio elettronico. Si dovrà delimitare la figura del commercio elettronico “indiretto”, ove l’atto di vendita avviene on line ma la consegna fisica del bene avviene tra le parti attraverso un canale normale (posta, corriere, etc.) con una traccia “fisica” della consegna ed una sua più agevole individuazione, e il commercio elettronico “diretto” che si ha quando sia il pagamento che la consegna avvengono in rete (file musicali, e-books, programmi, etc.), lasciando come unica traccia i movimenti bancari del pagamento. Altri aspetti che assumono vieppiù importanza, sono quelli legati alle app a pagamento ed in genere alle transazioni veloci, che generalmente valgono pochi euro e si pagano da un account appositamente aperto, ma sono talmente numerose da realizzare cifre imponenti in capo al percettore. Ma i problemi di tassazione potrebbero essere quasi insormontabili. Per fare un esempio, qualora l’acquirente si trovi nel Regno Unito e compia un’operazione di quel tipo, con il proprio telefono italiano, a quale Paese si dovrebbe intestare la transazione? Se opero in Italia, ma ho aperto un account negli Usa, chi è che sta comprando e da dove? Complicato, considerato che il prodotto virtuale non passa dalle dogane.
Secondo Ocse e WTO (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) una tassazione sul commercio elettronico dovrebbe rispettare una serie di regole quali:
- La neutralità (tassazione omogenea tra diversi Operatori e diversi sistemi di vendita, al fine di evitare distorsioni fiscali tra i canali)
- L’efficienza (costi di adempimento tributario e amministrativi ridotti al minimo)
- Certezza e semplicità (regole chiare, facilmente comprensibili ed agevolmente interpretabili negli effetti)
- L’efficacia e l’eguaglianza (basso rischio di evasione e ripartizione delle basi imponibili tra i vari Paesi)
- La flessibilità (con norme facilmente adattabili all’evoluzione delle tecniche di vendita).
In questo momento le Organizzazioni Internazionali non hanno ancora redatto una proposta effettiva ed i vari Paesi Europei stanno provvedendo ad applicare norme diverse, tendenti a risolvere il problema impositivo.
Ad Aprile in Inghilterra è entrata in vigore la diverted profit tax, tendente a riportare alle casse statali le imposte che, tramite Filiali ubicate in Nazioni con imposizione più favorevole, le Multinazionali avessero sottratto all’imposizione locale. Riguarda le Imprese con un giro d’affari superiore ai 10 milioni di Sterline, alle quali viene applicata una tassazione del 25%, dopo una stringente procedura accertativa.
La Francia dal canto suo sta procedendo alla discussione di una nuova trattenuta alla fonte del 20%, operata dalla Banca attraverso la quale transita il pagamento, al fine di intercettare l’Iva evasa dalle operazioni in internet (che, ricordiamo, in Francia equivalgono a circa 60 miliardi di Euro) che altrimenti non verrebbe rilevata agevolmente.
Venendo all’Italia, dopo la proposta di Legge Boccia ritirata negli scorsi mesi, che ha suscitato molte polemiche e dubbi sull’accettabilità a livello Europeo delle misure previste, la diverted profit tax all’italiana immaginata dalla proposta di legge Quintarelli-Zanetti, impianto base della Digital Tax annunciata dal Governo, scatterebbe all’individuazione di una “stabile organizzazione virtuale”, ovvero una presenza economica digitale, anche se non fisica. Per accertarla, l’attività dell’Impresa verrebbe monitorata e valutata dal circuito dei pagamenti e superata una certa soglia (la proposta è cinque milioni di euro in almeno sei mesi di attività continua) verrebbe operata una ritenuta alla fonte del 25%. Questa nuova previsione, come si nota, con la webtax sopra ricordata, non avrebbe nulla in comune. La prima si concentrava sulle imprese online e pasticciava sull’advertising, veniva prima dell’EU VAT ed era soprattutto molto influenzata dagli interessi di alcuni tycoon editoriali italiani. La digital tax varrebbe invece per qualunque multinazionale, anche tradizionale: sarebbe focalizzata sulla elusione fiscale, non sull’ambito o sulle tecnologie. E cercherebbe una soluzione pratica basata sui criteri propagandati dall’OCSE, che come sopra riportato, sta lavorando su qualcosa di simile.
Al fine di evitare questa imposizione, ogni multinazionale dell’economia digitale operante via Internet e soggetta alla ritenuta (che sarebbe operata dalle Banche ed intermediari coinvolti nelle operazioni di pagamento) potrebbe dichiarare una stabile organizzazione in Italia, come del resto ha fatto Amazon, e quindi pagare regolarmente le tasse nel nostro Paese. Oppure potrebbe applicare lo strumento del “Ruling internazionale”, che prevede la sottoscrizione di un accordo fra contribuente e fisco.
Il disposto della norma sta suscitando un notevole dibattito accademico e politico. La maggior parte dei dubbi riguarda la sua liceità in ambito europeo, con due fronti opposti: proibizionisti che attenderebbero l’approvazione delle linee guida dell’Ocse (ritenute vincolanti) prima di adottare provvedimenti che potrebbero discostarsene, e possibilisti volti a sostenere che l’Italia avrebbe ampi spazi di manovra all’interno delle regole internazionali, tali da permettere comunque un presa di posizione definita.
Citiamo tra i critici del provvedimento, l’Economista Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente alla Bocconi di Milano, il quale in un’intervista alla Stampa ha affermato: “La verità è che cosa sia la digital tax non l’ha capito nessuno. L’affermazione di Renzi è sgangherata in termini economici. Non dico che si è rimangiato la parola sulla Web Tax di Boccia, che era aberrante e non aveva senso. Ma su internet l’ignoranza dei politici si conferma davvero grande. Quella di Stefano Quintarelli non è né digital né tax. E’ una pistola puntata sull’azienda: o fai la sede in Italia o io ti tasso, forza ad aprire una stabile organizzazione, è un prelievo forzoso, e un ostacolo alla libera scelta di stabilimento, che è un pilastro della Unione europea. È comprensibile e razionale, ma io dissento, va contro lo stile europeo”.
“La proposta Zanetti prenderebbe di mira i ricavi mentre Londra, per rapportarci ad una Nazione Europea che ha già adottato il provvedimento sopra riportato, tassa i profitti. Un’imposizione sui ricavi non si è mai sentita in nessun paese, vuol dire che tutte le spese di produzione di quel reddito non potrebbero essere dedotte. Questo aspetto farebbe paragonare il provvedimento più ad un ricatto che una giusta imposta, perché equivarrebbe a dire a queste imprese o fate la “stabile organizzazione” in Italia, che adesso non avete, oppure noi i soldi li prendiamo comunque e in ogni caso. Renzi ha detto che è una misura di giustizia fiscale, questo però somiglia a un abuso fiscale. Mi rendo conto che la direzione di tutti i paesi sotto la guida dell’Ocse sia fare pagare le tasse nei luoghi dove vengono generate – cosa su cui ho comunque grosse perplessità – se questa è la direzione acclarata e concordata l’Italia la sta seguendo in maniera vampiresca. La differenza rispetto alla Web Tax è che in quel caso l’illegittimità era talmente palese che il giorno dopo la Commissione avrebbe piazzato una procedura d’infrazione, quella di adesso è comunque illegittima, ma più sfumata. Sarebbe semmai una delle aziende colpite a dovere risolvere questa misura in un lungo contenzioso”.
Il gettito previsto per la tassa suddetta, dovrebbe aggirarsi intorno ai 2 miliardi di Euro, tanto utili per le casse dello Stato, quanto disincentivanti per le Imprese operanti in Italia via Rete. Sarà interessante verificare quanto questa proposta verrà approvata senza emendamenti e, soprattutto, quali effetti “collaterali” comporterà. Se le Imprese cioè accetteranno obtorto collo, di stabilire una Organizzazione in Italia o cercheranno altre vie per continuare a godere dei privilegi, finora ricchi di guadagni e libertà operative.