Come prestano i soldi le Banche E a chi?
Negli ultimi anni, sul credito alle Imprese in Italia si è abbattuta la cosiddetta “Tempesta perfetta”. Dopo il crollo delle Economie mondiali, dovuto alle vicende dei “subprime”, al fallimento Lehmann, ai problemi legati al terrorismo internazionale e le sue conseguenze sulla libera circolazione di persone e beni, alcuni avvenimenti hanno messo in difficoltà il “sistema Italia”.
Primo fra tutti, il passaggio del controllo sugli Istituti maggiori da Banca d’Italia, accertato come “lasco” dalle vicende successive, alla Banca Centrale Europea, più rigida e meno accondiscendente alle pressioni dei Grandi Gruppi. Poi, la crisi economica ha portato le Aziende ad avere problemi di incassi e liquidità, elevando così gli incagli e le sofferenze bancarie a livelli intollerabili. Livelli enfatizzati dall’entrata in vigore delle successive norme regolatorie denominate Basilea 2,3,4 che hanno resi più rigorosi controlli sulla solidità patrimoniale e liquidità delle Banche.
Ancora, le forti accelerazioni normative imposte in questi ultimi anni dalla politica nazionale rischiano di non consentire al sistema bancario di metabolizzare questi cambiamenti. La decisone di trasformare le popolari in Spa e successivamente di quotarle in borsa, per esempio, richiederebbe più tempo.
A questi eventi le Banche hanno reagito nel peggiore dei modi, riducendo indiscriminatamente gli affidamenti, anche a Clienti sostanzialmente solvibili, portati così ad una carenza di liquidità del sistema ancora maggiore.
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Ma non tutti hanno subito questo “trattamento” ed ora vorremmo analizzare la ripartizione del credito in Italia per classi di affidamento e la conseguenza sui bilanci bancari dello stato attuale.
Secondo l’analisi dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre, il primo 10% dei migliori affidati riceve l’80 per cento circa del totale dei prestiti erogati dalle banche anche se le Pmi rappresentano il 99 per cento delle aziende presenti in Italia.
Peccato poi che questa “generosità” rivolta alle grandi imprese non sia ricambiata. Infatti, le sofferenze a carico di questi clienti così “privilegiati” (ovvero sempre il primo 10 dei migliori affidati) è pari al 78 per cento circa del totale. In buona sostanza nei rapporti tra banche e imprese tutto è paradossalmente capovolto. Chi riceve la stragrande maggioranza dei prestiti ha livelli di affidabilità bassissimi, per contro, chi dimostra di essere un buon pagatore riceve i soldi con il contagocce.
Questo 10 per cento di maggiori affidati non è pertanto composto da piccoli imprenditori, famiglie o lavoratori autonomi, ma quasi esclusivamente da grandi società o gruppi industriali. Pertanto, potremmo affermare che le banche italiane siano molto influenzate dalle richieste delle grandi imprese, sperando che questa anomalia non sia ascrivibile al fatto che, nella stragrande maggioranza dei casi nei Consigli di amministrazione dei principali istituti di credito italiani, sono presenti quasi esclusivamente capitani d’industria o manager a loro molto vicini.
Vediamo i numeri.
Tra sofferenze, altri finanziamenti deteriorati che si configurano come inadempienze probabili o finanziamenti scaduti/sconfinati, a Ottobre 2016 la dimensione economica complessiva del credito deteriorato ammontava in Italia a 333,6 miliardi di euro: 198,6 miliardi di sofferenze lorde, 123 miliardi di inadempienze probabili e 12 miliardi di euro di finanziamenti scaduti/sconfinati
Non essendo in grado di recuperare una buona parte dei prestiti erogati, le banche hanno deciso di non rischiare più e hanno chiuso i rubinetti del credito. Solo nell’ultimo anno (aprile 2016 su aprile 2015) gli impieghi alle imprese italiane sono diminuiti di 24,3 miliardi di euro. Se poi misuriamo la stretta creditizia a partire dal punto massimo di erogazione del credito, raggiunto a novembre 2011, in quasi 4 anni e mezzo le imprese italiane hanno visto diminuire i prestiti bancari di ben 144 miliardi di euro.
Un’ulteriore conferma delle conclusioni emerge dall’analisi dei dati relativi alle sofferenze bancarie per classi di grandezza. Al 31 marzo 2016, il 70 per cento del totale delle sofferenze erano concentrate nelle classi sopra i 500.000 euro che, ovviamente, non possono che essere ascrivibili ad una clientela di grandi dimensioni. Si denota, inoltre, che in termini percentuali le variazioni di crescita maggiori verificatesi nel quinquennio 2011/2016 si trovano proprio nelle classi di grandezza più alte; vale a dire in quelle riconducibili agli importi di prestito più elevati che vengono concessi quasi esclusivamente alla migliore clientela per la quale il peso dei crediti deteriorati riporta le dinamiche esposte.
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Ora, onestà intellettuale vuole che non si possa considerare un prestito di mezzo milione come credito esclusivamente concesso a una grande impresa. Tuttavia, se si concentra lo sguardo sui prestiti superiori ai 5 milioni di euro, si scopre che questi da soli valgono il 35% delle sofferenze totali, a fronte di meno dello 0,5% del totale della clientela (quelli sopra i 25 milioni sono lo 0,05% e valgono il 12,01% delle sofferenze). Si tratta di una distribuzione che può avere un senso statistico. Tuttavia, nell’elaborazione di due anni fa questi grandi prestiti pesavano per un punto percentuale e mezzo in meno, il 33,6 per cento. Le cose sono andate quindi peggiorando.
A una conclusione simile era arrivata un’indagine svolta a luglio dalla Cgia di Mestre, secondo la quale in termini percentuali le variazioni di crescita maggiori verificatesi nel quinquennio 2011/2016 sono avvenute proprio nelle classi di grandezza più alte; vale a dire in quelle riconducibili agli importi di prestito più elevati che vengono consessi quasi esclusivamente alla migliore clientela. Le regioni dove questo fenomeno avviene con più gravità sono quelle del Sud, mentre le cose vanno decisamente meglio in Veneto e Lombardia.
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Il fenomeno negli ultimi cinque anni è peggiorato: è sempre maggiore il peso delle sofferenze determinato dai prestiti di maggiore entità concessi alle imprese maggiori
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A queste dinamiche, si aggiunge il fatto che ammontano a oltre 850 i miliardi di euro ricevuti dalla Bce, in meno di due anni e mezzo, a tassi bassissimi. Ma ciò non è bastato alle banche italiane per aumentare i prestiti alle famiglie e alle imprese, dando un impulso positivo al ciclo economico. La liquidità extralarge “prelevata” dalla Banca centrale europea non è stata “girata” all’economia reale: da dicembre 2013 ad aprile 2016 i finanziamenti al settore privato sono calati di oltre 15 miliardi. Gli istituti di credito del nostro Paese, in particolare, hanno incassato il 31% dei 2.769 miliardi complessivamente messi in circolazione dall’Eurotower nell’ambito delle cinque finestre di rifinanziamento; nelle sole operazioni di lungo periodo (Ltro e Tltro), le banche della Penisola hanno ricevuto 793 miliardi su 2.290 miliardi (34%). Lo stock di crediti ad aziende e cittadini è invece sceso, in totale, da 1.416 miliardi a 1.400 miliardi: sono diminuiti di 30 miliardi i crediti alle imprese; mentre sono saliti di 14,9 miliardi i finanziamenti alle famiglie, trainati dalla ripresina del credito al consumo, generalmente finalizzato (+24 miliardi).
Ultimo dato che esporremo, riguarda i prestiti alla Pubblica Amministrazione. Sebbene nell’ultimo anno i prestiti bancari verso la Pa siano aumentati di 5,2 miliardi, essa rimane la peggiore pagatrice d’Europa. Inoltre, si è verificato anche un incremento del livello delle sofferenze in capo al pubblico che, pur rimanendo molto contenuto in rapporto al totale dei prestiti, rappresenta un po’ un controsenso, dal momento che quando l’erario o gli enti locali devono incassare si trasformano diventando efficienti, inflessibili e spietati nei confronti di chiunque non rispetti anche di un giorno il termine di pagamento.