Ho letto questo pezzo di Paolo Nori che descrive un suo stessso romanzo. C'entra solo relativamente ma leggendo mi è venuta un'associazione tra il post precedente e questi pensieri.
Ecco, non sono sicuro, ma ho l'impressione che la principale tesi dell'io narrante, dentro i Malcontenti, sia che quelli che sono nati, in Italia, a partire dagli anni sessanta, abbiano ricevuto un mondo già fatto, preconfezionato, il migliore, tra l'altro, dei mondi possibili, e che quel che la società, se così si può dire, chiede loro, non è di contribuire al perfezionamento, né - non sia mai - al ribaltamento, di questo mondo, né a un qualsivoglia cambiamento di rotta, no. A quelli che sono nati, in Italia, dopo il 1960, secondo l'io narrante la società, e con lei la storia, in un certo senso, hanno chiesto soltanto di mettersi lì e non rompere troppo i maroni. E loro, bravissimi, si mettono lì e non rompono troppo i maroni, anche se non possono fare a meno di andare avanti e indietro, di tramagliare, si dice nel libro, scossi da periodiche esplosioni e delle continue implosioni e mossi non tanto dalla ricerca del segreto della felicità, felicità che, come ha detto una volta Gianni Celati, è un concetto americano, quanto, mi sembra, dal tentativo di capire la ragione di tanta disperazione.
Paolo Nori
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