Solvay è innocente: vittima di un intrigo internazionale ordito dai poteri forti della chimica, dei supermercati e della politica, per impedirle di denunciare i veri colpevoli della catastrofe ambientale di Spinetta Marengo, e per impedirle di bonificare l’altrui avvelenamento doloso delle falde acquifere. Regista finale del complotto: il pubblico ministero. Svelato il giallo in Corte di Assise di Alessandria: tutti i nomi dei congiurati. Ombra della massoneria.
UDIENZA DEL 17 NOVEMBRE 2014
“Va bene a tutti, anche all’amico Balza”: l’avvocato Luca Santamaria conclude l’arringa difensiva in Corte di Assise di Alessandria. L’ironia storpiante su “amico” è scontata: ormai è un ritornello additare Lino Balza come “nemico”, numero due, distaccato di parecchie lunghezze dal nemico numero uno di Solvay, il pubblico ministero Riccardo Ghio. Invece, è assai nebulosa la conclusione del romanzo giallo raccontato per sei ore dall’illustre legale, cioè l’intrigo internazionale “dei poteri forti” che si materializzerebbe nell’assassinio di Solvay ad opera di un folto gruppo di congiurati. I quali sarebbero in ordine di presentazione: Ausimont, Pubblico ministero, Arpa, carabinieri Noe, Comune, Provincia, Regione, giunte di sinistra e di destra, amministratori e funzionari, Montedison, Edison, Eridania, Coopsette, Esselunga, associazioni ambientaliste ad eccezione di Medicina democratica (bontà sua). Non cita i sindacati. Dimentica il GUP Stefano Moltrasio. Dice Santamaria: “Va bene a tutti” l’assassinio finalmente ordito, cioè l’incriminazione di Solvay per avvelenamento doloso e dolosa omessa bonifica, art. 439 c.p.p, “va bene a tutti” i suddetti congiurati, e anche all’ “amico” Balza che, pur non avendo compreso il complotto, è contento lo stesso perché costituzionalmente nemico giurato di Solvay.
Santamaria avvince come giallista ma non convince né come giallista né come difensore di Giorgio Carimati. Avvince, che è un piacere ascoltarlo due tre ore, quando scava nella dietrologia, quando dissemina indizi inquietanti su ciascuno dei congiurati, ma poi quando dopo sei ore il mosaico dovrebbe comporsi ti rendi conto che le tessere sono forzatamente assiemate, come avviene per i giallisti neofiti. L’ultimo capitolo rende oscura la trama. Nessun giallo regge se non regge il movente. Non convince il garbuglio. D’altronde è la prima volta che Santamaria si esercita in questa nuova veste di romanziere. Per il resto è senza dubbio il leader dell’esorbitante staff difensivo della multinazionale chimica, è preparatissimo, analitico fino alla pignoleria, conosce a memoria tutti i risvolti processuali, segue e indirizza Solvay ancora prima del processo come è evidente nelle intercettazioni telefoniche, è attento e ascoltato consigliere di Carimati nel bene e nel male, non è solo un impareggiabile giurista ma anche uno sgobbone che sacrifica per la causa le ore di sonno. In questa udienza si è presentato un po’ stanco, con la barba lunga, a tratti emozionato probabilmente per una qualche presenza di riguardo, ma pur sempre un leone indomito. Però come giallista…
Quando arrivi alla fine di un giallo e ti rendi conto che non sei in grado di riassumere la trama: resti deluso. Può essere colpa tua perché il genere letterario non ti è confacente? Perché non possiedi neppure le veline giornalistiche che potrebbero aiutarti come prefazione del romanzo? A questo punto vai a comprare i giornali. Trascriviamo quello che hanno capito loro del complotto internazionale: “Metà dell’area ex zuccherificio di Spinetta Marengo, vicina allo stabilimento, fu ceduta a Esselunga per fare un supermercato, ma i ‘signorotti locali (i politici n.d.r.) sostenitori di CoopSette insorsero’ fino a che si decise di destinare l’altra metà a Coop7: un perfetto inciucio in barba al Piano regolatore comunale. Sembravano ‘tutti felici e contenti, ma Solvay va a rompere le scatole’ perché, continua Santa Maria, insiste per la messa in sicurezza di emergenza della propria area, dopo aver scoperto che le perdite dalla fabbrica con relativo inquinamento sono più cospicue di quelle che le aveva dato a bere Ausimont (la venditrice n.d.r.) propinandole la bischerata di un piano di caratterizzazione falso. Basato su documenti falsi alle Autorità compiacenti. Ma se Solvay scopre gli altarini, viene fuori che anche l’ex zuccherificio è inquinato è salta l’inciucio supermercato”. Fine della trascrizione.
Dunque c’era il rischio che l’integerrima Solvay facesse partire denunce penali contro Ausimont e soprattutto le Autorità colluse e corrotte. Allora ci chiediamo: perché in 7 anni Solvay non ha fatto denunce? perché parla di tangenti dell’Ausimont ai politici, senza produrre prove? non è che andando con gli zoppi si continua a zoppicare? Invece, nel racconto di Santamaria, Solvay stava rompendo (sic) la continuità mafiosa vigente ad Alessandria (con quanta discrezione! al punto di passare inosservata n.d.r.). Il vento di Bussi (?) terrorizzò i congiurati - siamo all’escalation della suspense del giallista - la paura corre sul filo, il gioco del cerino acceso (sic) brucia Comune e Arpa, si salvi chi può. E’ la quadratura del cerchio: esclama ispirato Santamaria. Noi invece comprendiamo sempre meno il garbuglio del giallo, i collegamenti logici e fattuali, che c’azzecca lo zucchero col cromo esavalente, la lobby dei super mercati con la lobby della chimica? Ma è proprio a quel punto che scatta il coup de théâtre del romanzo. A quel punto (2008) entra in scena il complice Riccardo Ghio. Il Pubblico Ministero che, senza prove, bluffando, anzi falsificando le carte, individua come facile capro espiatorio (sic) l’innocente Solvay e la incrimina per sviare l’attenzione politica e mediatica e penale dall’ex zuccherificio, sotto il quale si cela il corpo del reato, cioè la discarica abusiva su cui il complice PM non vuole proprio indagare: evidentemente contiene cromo e clorurati inquinanti la falda (che fantasia! se si pensa che lavoravano barbabietole per produrre zucchero!). Santamaria definisce il fraudolento intervento di Ghio come “una vera e propria operazione di distrazione di massa” volta a non scoperchiare il vaso di Pandora (sic) dell’ex zuccherificio e a salvare il culo ai politici, gli stessi che impedivano (sic) a Solvay di bonificare l’inquinamento, a questo punto non di origine chimica ma zuccheriera. “Il PM inscena una realtà finta e marcia, una menzogna organizzata da alte stanze del potere alessandrino, colluso da decenni con Montedison-Ausimont. Loro sono i veri colpevoli dell’avvelenamento e non Solvay. Perciò chiedo l’assoluzione con formula piena di Solvay e in particolare di Giorgio Carimati che dal 2003 al 2008 non poteva certo passare i sabati e le domeniche negli scantinati degli archivi segreti”. Fine del romanzo giallo.
Che, confessiamo, anche noi non abbiamo capito. Noi, che restiamo prosaici, andiamo a rileggerci le intercettazioni telefoniche, la viva voce di Giorgio Carimati. E confermiamo quanto già documentato sul nostro Dossier. Arrivavano direttamente da Bruxelles, casa madre della multinazionale Solvay, gli ordini per Spinetta Marengo: nascondere le tonnellate di veleni sotterrati, nascondere che le sostanze tossiche e cancerogene si stavano sciogliendo in falda, nascondere gli avvelenamenti delle acque dei pozzi e dell'acquedotto che uccidevano e ammalavano lavoratori e cittadini, falsificare le analisi e i documenti, imbrogliare gli enti pubblici. Diamo un volto al regista italiano dell'attività spionistica: Giorgio Carimati. (Forse a Santamaria verrebbe meglio una spy story). Il Direttore dell’Arpa, Alberto Maffiotti, tramite i documenti nascosti dall’azienda e sequestrati dal pubblico ministero Riccardo Ghio, ha mostrato alla Giuria che i dirigenti Ausimont poi Solvay non solo per decenni avvelenavano, ma sapevano che stavano avvelenando, consapevolmente come e quando, anzi minimizzavano le analisi agli enti pubblici, anzi le nascondevano, anzi le falsificavano prima e addirittura dopo il 2008, quando prese avvio la fase processuale. Emblematico, fra i numerosi documenti occultati e sequestrati, è stata l’esibizione in aula della mail con cui Solvay cercava di nascondere alle autorità che il catastrofico inquinamento era ben oltre i confini dello stabilimento ma raggiungeva il fiume Bormida e la città. La mail in oggetto non fu redatta da uno qualunque degli imputati, bensì da Giorgio Carimati: per la società belga responsabile tecnico giuridico per l’ambiente e la sicurezza di tutti gli stabilimenti italiani, tutti con gravissimi problemi di inquinamenti suolo e acque. In costante contatto telefonico con Bruxelles (come da intercettazioni) Carimati era al di sopra di tutti i direttori delle fabbriche ai quali impartiva le disposizioni affinché fossero “eseguite alla lettera” a cascata dalle maestranze, nonché era il coordinatore del pool degli avvocati. Tra i quali spiccava Santamaria. Disposizioni che, concordiamo con le rilevanze processuali, “non sono allineate a principi di integrità morale e giuridica, e si prestano ad aspetti confluenti in comportamenti configuranti reati”. I conseguenti comportamenti delle persone coinvolte dalle direttive di Carimati “danno corpo ad ipotesi di reato di avvelenamento di acque destinate al consumo umano, istigazione alla commissione di reati, falsi in atti, danni ambientali”. Ne sono infatti coinvolti altri soggetti della realtà spinettese, in scala gerarchica, consapevoli in varia misura dello stato di inquinamento acque e atmosfera, e soprattutto solerti attori delle manomissioni e degli occultamenti “suggeriti” dal regista Carimati. Ad esempio le doppie versioni, segrete e ufficiali, delle analisi dei pozzi. Ad esempio, quando dai muri e dai pavimenti affiorava il giallo del cromo: si provvedeva a stenderci sopra una gettata di bitume o cemento.
Il teste Paolo Bobbio, geologo dell’ufficio bonifiche della Provincia, aveva smantellato la tesi che la Solvay avrebbe voluto mettere nel 2004 in sicurezza il sito ma che la Provincia l’avrebbe impedito: nessuno ha impedito a Solvay di eseguire la presunta messa in sicurezza, la quale, per legge, “non va autorizzata, si fa e basta, e la si comunica dopo agli enti”. In più, insisteva Bobbio, Solvay conosceva da anni le perdite e taceva. E fa i nomi dei principali attori locali: Giorgio Carimati e Giorgio Canti. La strategia processuale di Solvay continua ad essere quella di chiamare in correo quanti più soggetti possibili (Comune, Provincia, Regione, Arpa, Asl, Noe, magari anche l’Onu) secondo il principio “tutti colpevoli, nessun colpevole). Tutti quegli Enti in tanti anni hanno avuto responsabilità enormi nel disastro sanitario ed ecologico di Spinetta Marengo: siamo stati noi di Medicina democratica i soli per 30 anni e sulla nostra pelle a denunciarle inascoltati, ma stiamo parlando di responsabilità politiche e morali, mentre le responsabilità penali gravano su Solvay.
Continuiamo a leggere sul nostro Dossier. Stefano Bigini, nel suo ineffabile duetto con l’avvocato Luca Santamaria, ha negato di aver intravisto archivi “segreti: quelli di sede che qualunque direttore del Gruppo Solvay DEVE conoscere per mestiere, e quelli che l’inossidabile Pas Giorgio Canti (imputato) e il direttore uscente Luigi Guarracino (imputato) gli consegnano subentrando come direttore. Bigini, come emerge chiaramente dalle intercettazioni con Carimati, (e Canti, Martinelli, Bessone, Macone, Repetto ecc.) era a totale conoscenza pregressa di tutto e si prestava a tutto per brigare inganni ai magistrati (perfino a telefonare alla Protezione Civile facendosi passare per un contadino della zona).
Ascoltando le intercettazioni telefoniche, la conclusione è lampante: attraverso i propri canali privilegiati l’azienda riesce facilmente a fare apparire messaggi contrari alla verità. Il tono è confidenziale, il fine è collaborativo, il risultato è complice. Franco Capone (Telecity) fornisce perfino documenti riservati del Sindaco a Paolo Bessone! Bessone è il quasi imputato che faceva appunto da trait d’union tra i vertici belgi e i giornalisti e i sindacalisti “da addolcire” (in particolare Michele Muliere-CISL). “Adoucir les journalistes” è il programma aziendale, con quali sostanze zuccherine non sappiamo. Bessone chiama Giorgio Carimati, imputato responsabile del settore ambientale, e gli dice di essere a conoscenza di quanto uscirà sui giornali all’indomani, e addirittura glielo legge! E’ quel che si dice “velina”. Stefano Bigini, direttore dello stabilimento, telefona il proposito di ricattare gli Enti locali tramite notizie di stampa in forma anonima! Anonimato che i giornalisti evidentemente gli garantiscono. Enrico Sozzetti (Il Piccolo) lo chiamano “il nostro”, “l’andiamo a trovare domani in redazione”. Capone è “l’amico Capone”. Insomma, nelle intercettazioni, telefonate simili sono all’ordine del giorno. Non è uno spettacolo edificante per il giornalismo alessandrino
Ancora nel 2013 Giorgio Carimati, plenipotenziario regista difensivo dei processi Solvay sparsi per la penisola, ha messo a punto con Bernard de Laguiche e Pierre Jaques Joris, i padroni belgi, imputati, una lettera ai giornali, a firma di Stefano Bigini, direttore dello stabilimento di Spinetta Marengo. La lettera della multinazionale a firma Bigini non è una semplice e abbastanza maldestra autodifesa di un imputato, bensì vuole essere l’esplicita offerta manageriale di un finalizzato dialogo con le istituzioni locali. L’obbiettivo dell’attenzione di Bruxelles è palese: la bonifica del territorio dove sono sotterrate migliaia di tonnellate di almeno 21 veleni tossici e cancerogeni. Ovvero i costi di bonifica. Solvay tende a riproporre il famigeratissimo cosiddetto “Piano Amag” che essa aveva confezionato tramite l’ex presidente Lorenzo Repetto, braccio destro del sindaco Piercarlo Fabbio, con lo zampino famelico dell’Università locale. Si tratta di un business che, invece di eliminare gli inquinanti all’origine e a totale carico dell’inquinatore, li scarica all’esterno a spese della collettività inquinata, lascia i veleni dove sono sepolti, non li asporta dal terreno per la bonifica, ma si inventa di raccoglierli quando sono già penetrati nelle falde acquifere, o di neutralizzarli sul terreno tramite punturine di ditionito di sodio.
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