L’emergenza nucleare non si è conclusa con il referendum:
24.210 mᶟ 284,5 tonn. di scorie 2.252.732,7 terabequerel
Trino, Caorso, Garigliano, Saluggia, Casaccia, Trisaia, Bosco Marengo…
Si discuterà a Roma il 25 novembre 2014 davanti al Consiglio di Stato l’udienza di merito del ricorso contro il deposito ex Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo (Alessandria), ricorso mirato a creare un precedente giuridico valido per tutti i siti già nucleari, altrimenti destinati a eterni depositi di se stessi. A questo ricorso pilota ancora oggi attribuiamo la valenza nazionale di affermare la rivendicazione del deposito unico italiano, quanto l’attribuimmo -prima del referendum 2011- di stop alla strategia nuclearista del governo Berlusconi. Ripercorriamo le tappe.
ENTUSIASMANTE SOTTOSCRIZIONE POPOLARE
Con la complicità di maggioranze e opposizioni del Comune di Bosco Marengo, della Provincia di Alessandria e della Regione Piemonte, il Ministero dello Sviluppo Economico aveva emesso un decreto che avrebbe autorizzato la demolizione dell’impianto di fabbricazione di combustibili nucleari di Bosco Marengo e la conseguente costituzione di un deposito di rifiuti radioattivi: definito “temporaneo” fino al 2020 secondo la criminale ipocrisia della regione ma a tempo indeterminato secondo Sogin e in luogo assolutamente inidoneo allo scopo, cioè non sicuro. Insomma, tombare centinaia di fusti radioattivi vecchi e nuovi in un sito assolutamente inidoneo neppure per uno stoccaggio temporaneo: sia per le condizioni antropiche del territorio (densità popolazione) sia per le caratteristiche geomorfologiche del terreno (sismico, con falde), come dimostrerebbero agevolmente le (omesse) indagini geotecniche e il (mancato) assoggettamento alla valutazione di impatto ambientale VIA. Per impedirlo, grazie ad una entusiasmante capillare sottoscrizione popolare e all’aiuto di Beppe Grillo, tramite l’avvocato Mattia Crucioli presentammo ( Medicina democratica, Pronatura, Legambiente) ricorso al TAR Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte contro il Ministero e l’ISPRA Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, e nei confronti della SOGIN Società Gestione Impianti Nucleari SpA (ex Fabbricazioni Nucleari), per l’annullamento, previa sospensione, del decreto suddetto, eventualmente previa rimessione alla Corte Costituzionale.
Contro la scellerata decisione politica del governo, ci appellavamo dunque al decreto legge 314/2003 che dispone che la sistemazione in sicurezza dei rifiuti radioattivi debba avvenire garantendo la protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori nonché la tutela dell’ambiente dalle radiazioni ionizzanti esclusivamente presso Deposito nazionale: da individuare in zona con assolute caratteristiche geomorfologiche e antropiche. Che non sono quelle di Bosco Marengo: non a caso manca la VIA Valutazione di Impatto Ambientale. Si consideri, a proposito di “temporaneità”, che i tempi di decadimento radioattivo di tali rifiuti variano rispettivamente nell’ordine di alcune decine di anni (rifiuti di prima categoria), di alcune centinaia di anni (seconda categoria), di alcune migliaia di anni e oltre (terza categoria). Il decreto del Ministero dello Sviluppo economico è illegittimo perché, in contrasto con il decreto legge 17/3/95 n. 230, non prevede la definitiva bonifica del sito di Bosco Marengo, il suo rilascio privo di vincoli di natura radiologica, in quanto non prevede il conferimento in ottemperanza alla legge 314 dei rifiuti al Deposito nazionale: inesistente, neppure individuato. Dunque i materiali radioattivi già presenti a Bosco, insieme a quelli derivanti dallo smantellamento dell’impianto, erano destinati ad essere immobilizzati in una matrice cementizia collocata in fusti in acciaio e vasche di calcestruzzo armato, all’interno di locali assolutamente inidonei, ipotesi che una Valutazione di impatto ambientale escluderebbe, e rappresenterebbero un ulteriore e ingiustificato gravissimo pericolo per l’ambiente e per la salute di Bosco Marengo e Alessandria (ex articolo 32 della Costituzione). Perciò, oltre all’annullamento del procedimento di disattivazione, il ricorso chiedeva, con istanza cautelare, di sospendere immediatamente l’esecuzione del procedimento impegnato.
Questo attentato contro Bosco Marengo si collocava all’interno delle scelte del governo di rilanciare la costruzione di nuove centrali atomiche in Italia, seppellendo un referendum votato in massa che aveva definitivamente chiuso con questa tecnologia costosa e insicura produttrice di scorie radioattive che solo la camorra o i fabbricanti di bombe atomiche sanno come smaltire. Denunciammo che, contro gli alessandrini, esisteva un patto regionale fra PD e PDL per favorire la lobby nucleare, gli interessi privati, le mire dell’industria energetica, le speculazioni immobiliari.
ROMA, IL PORTO DELLE NEBBIE.
Il Governo voleva costruire nuove centrali nucleari e produrre nuove scorie nucleari. Per contrastarlo cercammo appunto di obbligarlo a risolvere, prima, l’eredità delle vecchie. Tramite il ricorso al TAR del Piemonte. I tentativi della Sogin (il Governo) furono di sottrarsi al giudice naturale, di spostare la sede processuale da Torino a Roma. Infatti, il Tar aveva già dato torto due volte alla Sogin (Società per la gestione degli impianti nucleari) benchè si avvalesse dei più celebri avvocati italiani. La prima volta aveva ordinato alla Sogin di sospendere i lavori di smantellamento dell'impianto nucleare di Bosco Marengo. La seconda volta aveva respinto la pretestuosa richiesta della Sogin di spostare il giudizio di merito dalla competenza del Tar del Piemonte (giurisdizione regionale) al Tar del Lazio (giurisdizione nazionale). Contro entrambe le sentenze del Tar Piemonte, la Sogin ha presentato appelli a Roma al Consiglio di Stato, che le hanno consentito di riprendere i lavori e, di rinvio in rinvio, di arrivare al 2014. A Roma Sogin era convinta di giocare in casa (non senza ragione).
PONZIO PILATO LA PROCURA DI ALESSANDRIA
Mentre il parlamento approvava il rilancio governativo del nucleare in Italia e il Consiglio di Stato con una ordinanza, "istanza cautelare", consentiva i lavori benchè già sospesi dal Tar Piemonte, quale ulteriore azione di contrasto firmammo come Medicina democratica un esposto penale (9 luglio 2009) presso la Procura della Repubblica di Alessandria affinchè verificasse la sussistenza di ipotesi di reato nei lavori avviati a Bosco Marengo di smantellamento dell'impianto nucleare e di costruzione di un deposito di scorie radioattive a tempo indeterminato: il primo fra quelli che Sogin, il braccio armato del governo, voleva imporre nel Paese.
La Procura fece Ponzio Pilato attribuendo la competenza al Consiglio di Stato, mentre noi ci attendevamo invece che intervenisse d’urgenza a sospendere i lavori “che provocano grave pericolo a lavoratori, popolazione e ambiente, lavori decretati dal governo ma non consentiti dalla legge senza che sia stato prima predisposto apposito deposito nazionale ultrasicuro per millenni, lavori nemmeno muniti di VIA Valutazione di impatto ambientale e si teme privi addirittura delle prescritte autorizzazioni dell’ISPRA (su piani operativi e progetti particolareggiati di disattivazione) per garantire sicurezza e radioprotezione, lavori privi di controlli medici e ambientali sugli effetti che l’avviamento di tali lavori hanno già provocato sulle persone e il territorio”.
LA LOTTA SI FA IN PIAZZA E NON SOLO NELLE AULE DEI TRIBUNALI.
Intanto l’opposizione al nucleare si affermava anche sul territorio. L’anniversario 2010 del vittorioso referendum (8-9 novembre 1987) assunse una valenza particolare, per due ragioni. L’atteso lancio della massiccia campagna mediatica del governo a sostegno del suo lobbystico e autoritario programma nucleare. E dunque il corrispondente lancio di una Giornata di lotta del movimento antinucleare e pacifista italiano contro questo programma e in funzione del decisivo difficile scontro referendario, giornata per stimolare ancor più la nascita di comitati antinucleari in ogni città, anzi in ogni quartiere, e valorizzarli quale massa critica per la conseguente costruzione di un fronte nazionale contro il nucleare civile e militare anche tramite apposita convocazione di una Conferenza nazionale organizzativa per definirne gli strumenti operativi.
Il mio tam tam su internet. Dal Piemonte al Trentino, al Lazio, alla Lombardia, al Veneto, alla Liguria, al Friuli, all’Emilia Romagna alla Toscana, alla Basilicata, costruendo il primo nucleo di quel fronte antinucleare nazionale, questa giornata, contro la follia nucleare civile e militare e per le alternative ambientali ed economiche, fu caratterizzata da iniziative decise regione per regione, città per città. Iniziative tutte costruite dal basso che coinvolsero tutta Italia. Un anniversario di lotta tutto costruito dal basso. Rinacquero di conseguenza i coordinamenti territoriali che avranno un ruolo fondamentale nella vittoria del referendum 2011. Iniziative nelle strade, nelle piazze, nei mercati, alle fiere paesane, nelle parrocchie, presso dopolavori ferroviari, sale consiliari, università, case del popolo, teatri, davanti alla villa di Berlusconi, alle basi militari, sedi amministrative ecc. Iniziative in tutta Italia. Protesta e proposta. Tanta informazione e dunque materiali illustrativi e volantinaggi dappertutto. In molti territori anche la possibilità di firmare la proposta di legge di iniziativa popolare Sì alle rinnovabili, no al nucleare. E dunque assemblee aperte, conferenze dibattito e serate di approfondimento e di lotta. Tanti saperi intellettuali, pochi mezzi economici e tanta fantasia: vestiti e bidoni gialli e tute bianche, cappelli, maschere, biciclette, ciclostili, presìdi, cortei, musica, firme, brindisi, attori, gazebo, striscioni, mostre, poesie, video, happening, assemblee, spettacoli, giochi, catene umane, uomini sandwich, centrali in miniatura, mimi, concerti, bandiere ai balconi, flash mob però di tipo freeze e chi più ne ha ne metta. Il Piemonte, che detiene l’85% delle scorie nucleari italiane, è in prima linea. Nucleare civile e nucleare militare. La lotta antinucleare si salda con quella pacifista.
DALLA VITTORIA DEL REFERENDUM ALLA SCONFITTA DEI MOVIMENTI E ALL’EREDITA’ DELLE SCORIE NUCLEARI
Sull’onda del successo dell’autorganizzazione di novembre, promossi a Cremona il 5 febbraio 2011 l’autoconvocazione dei Comitati antinucleari con l’adesione di oltre cento comitati e movimenti di base e le presenze da 17 province. La prima decisione operativa riguardò l’impegno dei Comitati, costituitisi in Coordinamento nazionale, ad avviare immediatamente nei rispettivi territori iniziative di una unica campagna referendaria su entrambi i temi: vota Sì per l’acqua pubblica e contro il nucleare. Nel contempo si decise di inviare a ciascun comitato elettorale nazionale già costituitosi un formale invito ad un incontro per verificare l’assoluta necessità di dar vita ad un’unica Campagna referendaria nazionale che comprendesse i temi dell’energia e dell’acqua, senza la quale –con la sussistente dispersione di forze- i referendum sarebbero stati sicuramente perdenti.
Questo obbiettivo strategico fu fortemente perseguito anche dopo che dovemmo prendere atto dell’opposizione degli apparati elettorali nazionali che erano corsi a ritagliarsi ognuno un proprio spazio politico e che facevano barriera alla nostra proposta iniziale di costituire un Comitato referendario nazionale unico per i sì ai 3 referendum acqua e nucleare e di fare una Campagna nazionale referendaria unica. Non fu facile convincere il Forum acqua pubblica che lo straordinario un milione e mezzo di firme per promuovere il referendum per il sì all’acqua pubblica era ben lontano dal garantire 25 milioni di voti, il quorum irraggiungibile da tempo immemorabile. Infine l’obbiettivo strategico fortemente perseguito a Cremona ebbe successo. Possiamo dirlo con orgoglio. Per effetto delle pressioni prodotte dai Comitati, tutte le organizzazioni nazionali, con le quali avevamo promosso contatti, si espressero –magari obtorto collo- favorevolmente per concordare e avviare iniziative territoriali unitarie acqua-nucleare tramite coordinamenti locali e anche regionali. Questa fu la svolta per traguardare i quorum, altrimenti irraggiungibili sia per l’acqua sia contro il nucleare (e anche il quarto referendum, sul legittimo impedimento, aumentò tali probabilità).
Fu la vittoria del referendum. Fu scritto da tutti: “Con lo straordinario avvenimento politico del referendum ha trionfato un nuovo modello di fare politica… la fine di un ciclo politico e culturale… è nato un nuovo laboratorio politico… il conflitto, la partecipazione e i beni comuni sono le nuove categorie per la nascita di nuove soggettività politiche fuori e oltre il sistema dei partiti”. Con una ormai petulante insistenza, già all’indomani della vittoria referendaria ri-proposi l’urgente esigenza di una organizzazione stabile di tutti i movimenti: gli “Stati generali per il governo dei beni comuni”. Siano convocati: chiedemmo sulle mailing list. Ma le settimane passarono. L’immenso ma disperso patrimonio di “democrazia partecipata” si era finalmente espresso con i referendum, la sua straordinaria forza politica si era finalmente espressa. E si era subito fermata!
Non si sono invece fermati i governi, Monti, Letta, Renzi. Che hanno accelerato il processo avviato da Berlusconi di liberalizzazioni ovvero privatizzazioni forzate dei servizi pubblici di rilevanza economica (acqua compresa), in palese dispregio della democrazia partecipata rivendicata da 27 milioni di cittadini, e in violazione dei principi costituzionali e comunitari. Ciò è avvenuto nel vuoto politico senza incontrare resistenza, quella resistenza che i movimenti dis-organizzati non hanno saputo o voluto contrapporre, buttando all’aria l’occasione storica conquistata con i referendum. Una sconfitta epocale.
L’assenza permanente di una politica energetica ecologica e l’irrisolta questione delle scorie nucleari (depositi e transiti e piani di emergenza): sono fra le conseguenze.
DEPOSITI NUCLEARI, TRENI E CAMION NUCLEARI. I POLITICI ITALIANI SE NE FREGANO.
Le scorie nucleari vanno in giro per l’Italia. Ad esempio quelle di Caorso dirette in Francia su camion o treno passano nottetempo per Alessandria, senza avvertire i cittadini con piani di sicurezza. Ad esempio quelle di Trino andrebbero a finire nei pressi della centrale atomica da smantellare. Ad esempio alcune di quelle di Bosco Marengo (900 fusti. 198.000 litri) partono verso Casaccia (Roma) per poi ritornare ricompattate. Dunque i rifiuti radioattivi vanno all’estero per poi ritornare riprocessati e sempre radioattivi e/o sono immagazzinati senza protezione in depositi temporanei (cioè per sempre).
Bosco Marengo è al centro della provincia di Alessandria e ospita, suo malgrado, un deposito di scorie nucleari in piena Fraschetta, tra i comuni di Bosco, Pozzolo Formigaro e Alessandria. Può essere oggetto di disastro nucleare per incidente, attentato, terremoto, alluvione, collisione di aereo o meteorite, incendio ecc. Ebbene nessuno di questi Comuni, né altri vicini (Novi Ligure, Frugarolo ecc.) ha provveduto ad informare i cittadini sui piani di emergenza nucleare. Abbiamo inviato formale diffida nei confronti dei Comuni e della Regione che non hanno adempiuto agli obblighi di legge (tra cui Direttiva n. 618 Consiglio delle Comunità Europee, Legge regionale 18 febbraio 2010, n. 5). E inviato nota alla Procura della Repubblica di Alessandria.
Un commento meritano le cosiddette "compensazioni" statali per il pericolo radioattivo. Per i Fabbricazioni nucleari di Bosco Marengo, ad esempio, ammontano a 1.240 mila euro dal 2004 al 2009. Noi abbiamo presentato ricorso al Consiglio di Stato contro il deposito di scorie nucleari voluto dal governo a Bosco, che invece è stato accettato da Comune e Regione. I concittadini Lamborizio, Cavallera, Bresso ecc. hanno venduto la sicurezza dei cittadini per 40 denari e neppure li hanno spesi per indagini epidemiologiche e iniziative sanitarie e ambientali. Lo scandaloso baratto soldi/salute diventa addirittura una beffa per il Comune di Alessandria, che non ricava nemmeno un euro mentre sono proprio i sobborghi di Mandrogne, Litta Parodi, Cascinagrossa ecc. ad essere i più vicini al deposito nucleare.
Contro il deposito “temporaneo” di Fabbricazioni Nucleari a Bosco attendiamo la decisione del Consiglio di Stato al nostro ricorso. Analogo ricorso per Trino pende davanti al Tar del Lazio. Il deposito nazionale unico, costruito in luogo sicuro e antisismico, dove confluire tutte le scorie, avrebbe dovuto per legge essere pronto entro il 2008. Gli ambientalisti lo pretendono per la sicurezza e la salute di milioni di persone. I politici italiani se ne fregano. Il Consiglio di Stato… Lino Balza
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