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 Oggetto del messaggio: In 700 a “prendersi” la sentenza
MessaggioInviato: 02/06/2013, 11:21 
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Iscritto il: 31/10/2011, 15:15
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AMIANTO. IN PRIMO GRADO IL 13 FEBBRAIO 2012 ERANO STATI CONDANNATI A 16 ANNI SCHMIDHEINY E DE CARTIER (ORA MORTO)
Domani pomeriggio il verdetto del processo Eternit d’Appello solo per lo svizzero

I giudici della Corte d’Appello di Torino (Alberto Oggè, presidente, tra Elisabetta Barbero e Flavia Nasi) pronunceranno domani la sentenza Eternit di 2° grado
Tredici febbraio 2012, sembra ieri. Tre giugno 2013, è domani. Meno di 16 mesi tra la sentenza Eternit di primo grado e quella d’appello da cui ci separa, ormai, soltanto un pugno di ore. In mezzo, la tenacia che non si è smorzata, la fiducia di chi ha la convinzione (ma non la presunzione) di combattere per una causa giusta.
In questo intervallo di 475 giorni, non sono mancate sferzate di dilatata amarezza e di acuto dolore. Ogni morte di mesotelioma, lacrime. Ogni mancato finanziamento alla bonifica, un manrovescio. Ogni freno alla ricerca di una cura, spesso rallentata da singole vanità, uno stordimento impotente e rabbioso. E, tuttavia, la fiducia, pur randellata, è rimasta integra su schiene dritte. Domani, 400 casalesi partiranno, su 7 pullman, per andare a prendersi il verdetto d’Appello nel processo contro chi resta della gestione padronale di Eternit Italiana. Un pezzo si è perso: morto l’ultranovantenne belga Louis de Cartier, rimane, ad attendere il responso, lo svizzero Stephan Schmidheiny, indaffarato a divulgare urbi et orbi la propria immagine di paladino dell’ambiente. All’Università di Yale, ha ottenuto di essere insignito della laurea honoris causa per meriti industriali e ambientali. Pare, però, che l’eco del processo italiano sia arrivata nel Connecticut e che ci sia una mobilitazione dell’associazione ex studenti perchè il titolo sia rimosso. È evidente che la sentenza di Torino, se confermasse la responsabilità dolosa, potrebbe avere un’incidenza. E questo non è affatto giustizialismo: non rapida e sommaria giustizia, ma si sono attesi 30 anni, con pazienza e senza mai invocare vendette, perché fossero smascherate in un tribunale della repubblica italiana prolungate strategie, decise all’estero, di nascondimento della verità, di mistificazione delle risultanze scientifiche, di cooptazione e spionaggio. L’attesa si protende ancora alcune ore - la sentenza è attesa domani non prima delle 15 - per sapere se saranno confermate le ragioni che convinsero i giudici di primo grado i quali affermarono il reato di disastro doloso, da cui derivò la condanna a sedici anni di reclusione.
I 400 casalesi saranno là, distribuiti in più aule del Palagiustizia torinese. I pullman partiranno scaglionati: il primo alle 7,30; due alle 11,30 con gli studenti (una cinquantina dai licei Scientifico, Sociopsico, Sociale, Linguistico del Balbo, una trentina dal Leardi e altrettanti dal Sobrero) e a mezzogiorno quattro con altri cittadini. Pochi fino a ora i sindaci che hanno segnalato la partecipazione in fascia tricolore: sveglia! Non possono mancare. Giungeranno, poi, da strade diverse altre 300 persone: da Emilia, Francia, rappresentanze da Perù, Spagna, Inghilterra, Usa. E il tam tam di internet sta scaldando i motori.
C’è chi, a fronte della morte di uno degli imputati e delle oggettive difficoltà a recuperare i risarcimenti (indiscutibile indice di riconoscimento di giustizia) dalle società riconducibili ai due imputati di partenza, non trattiene la comprensibile tentazione di evocare l’«occasione perduta» del mancato «patto col diavolo» (il respingimento, da parte della municipalità casalese, alla vigilia della sentenza di primo grado, dell’offerta di 18 milioni da Schmidheiny). Legittima e tecnicamente ineccepibile la logica del «pochi maledetti subito». Ed è vero, anche, che quei soldi (solo una quota parte, però) sarebbero stati destinati anche alla ricerca medica. Ma quanto si sarebbe perso? Dove sarebbe andata questa collettività sparpagliata, disorientata, afflitta e «comprata» con una somma di denaro non concordata, ma imposta e gravata da condizioni da accettare adesso per conto di inconsapevoli generazioni future? L’avrebbe conservata la forza di condividere il dolore e quella per pretendere - obbligatoria oggi la priorità assoluta - la cura salvifica che non può più attendere? Frammentati e umiliati, saremmo stati capaci di scegliere a quale più suadente sirena destinare quei soldi mal dati? Uscendo dai se, torniamo al presente condiviso: domani la sentenza. Da martedì si parlerà di bilanci e, soprattutto, di nuovi obbiettivi: incontro all’Afeva alle 11,30 e assemblea plenaria venerdì alle 17,30 al Tartara. Ma insieme, i cittadini con i loro sindaci.
SILVANA MOSSANO CASALE MONFERRATO
LA STAMPA
http://icittadiniprimaditutto.blogspot.it/
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