In questi giorni mi è ricapitato per le mani un libro letto alcuni anni fa, “Le città invisibili” di Italo Calvino, un dialogo immaginario tra Marco Polo e Kublai Khan che descrive delle città che vengono toccate dall’esploratore nei suoi viaggi all'interno dello sterminato impero del Gran Khan. In queste narrazioni si parla degli uomini che le hanno costruite, della forma della città, delle relazioni tra la gente che le popola. Di botto mi sono ritrovato a pensare alla nostra Città ed ai vari dibattiti politici che la infiammano da alcuni mesi a questa parte. Dibattiti finalizzati al prevalere di questa o di quella opinione, ma che a volte sono un po’ troppo demagogici e non propriamente finalizzati a creare delle vere progettualità in grado di migliorare la condizione di vita cittadina.
Vivere oggi in Alessandria ha creato, in chi vi abita, spesso sensi di disagio. Con il risultato di richiudersi nel proprio habitat, ormai non ci si conosce, non si dialoga, non si appartiene alla città. Una città credo invece si debba caratterizzare per il senso di appartenenza e per il protagonismo condiviso di chi vi abita, una “città vivibile” intesa come realtà in cui la coesione sociale e umana, frutto delle relazioni, permea il tessuto sociale.
Una città sostenibile è il luogo dove si genera quella grande risorsa che è rappresentata dalle “relazioni tra le persone”, occorre allora che le politiche locali favoriscano la costruzione di reti intessute di relazioni aperte. Chi governa una città non ha solo il dovere di amministrare le risorse e dare risposte alle esigenze dei cittadini, deve nel contempo adoperarsi per un recupero educativo delle coscienze che sappiano porsi delle domande sulle loro capacità di “essere nella città”, sulla capacità di produrre partecipazione, di stare più nella dimensione dell’ascolto che in quella del giudizio.
La città sostenibile e vivibile dovrebbe allora essere un “cantiere aperto”, fatto di radici e di memoria, di storia, ma anche di relazioni, incontri, esperienze e di conseguenza di cambiamenti che hanno contribuito e contribuiscono a ridefinirla nel corso della storia. Una città non può rinchiudersi in ambiti settoriali di riflessione, ma deve stimolare il dialogo con le generazioni nella ricerca di progetti comuni e condivisibili. Una città deve poi offrire ai suoi abitanti una formazione sui valori e le pratiche della cittadinanza democratica: il rispetto, la tolleranza, la partecipazione, la responsabilità e l’interesse per la cosa pubblica, per i suoi programmi, i suoi beni e i suoi servizi.
La nostra città è chiaramente in sofferenza, alle prese con numerosi problemi ambientali, con un’economia devastata e una manutenzione che la malagestione dell’amministrazione locale ha reso via via più problematica e carente. Eppure proprio un centro urbano, che è tra i principali attori di un modello di sviluppo non sostenibile, è il luogo che può governare direttamente il trasporto pubblico, la mobilità, il come, il dove e la qualità del costruire, che può gestire al meglio le risorse energetiche, il ciclo dei rifiuti e quello dell'acqua, ecc. Queste opportunità, sono tutte nelle mani di chi ha il compito di amministrare, se solo lo facesse un po' più da formica e un po' meno da cicala! Sta a noi cittadini “ricordare” a questi amministratori che sono lì per nostra delega, per amministrare la cosa pubblica e non per disporne a loro esclusivo piacimento e beneficio.
Nel libro citato sopra Marco Polo dice: « Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura. D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. » Tutte le città che Calvino sogna nascono dallo “scontro” tra una città ideale e una città reale. Qual è il nostro sogno, la nostra idea di città? Cosa vorremmo che ci fosse per renderla davvero vivibile? Ma soprattutto, quale città siamo in grado di sognare?
Renato Spinelli
(candidato Consigliere Comunale)
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